Mi capita questa cosa, che quando sono particolarmente ispirato, vado a comprare il pesce. Solitamente è un giorno di festa, una domenica, o comunque un giorno che non lavoro. Molto spesso capita che sia un giorno di sole. Il pesce è un cibo che col sole è più buono. Mi capita anche quest’altra cosa, che quando devo cucinare il pesce e fuori c’è il sole, mi preparo di tutto punto, faccio una lunga doccia, una barba come si deve e poi mi vesto bene, come se dovessi uscire. E invece mi metto ai fornelli.
Questa cosa secondo me viene da quando ero piccolo e l’estate ci trasferivamo dal paese in campagna. Al tempo l’estate era una stagione che durava dai primi di maggio a fine ottobre. Come tutti, avevamo degli animali da aia, polli e conigli a cui si dava anche dei nomi e che poi diventavano il cibo della domenica. Di solito funzionava che il pollo veniva cotto alla brace e il coniglio si faceva al sugo che ci potevi condire anche la pasta. Io ero quello che, nella logistica del pranzo domenicale, preparava la legna per la brace. Ero diventato bravissimo.
Certe domeniche, capitava che mio padre, per qualche motivo, dovesse andare al siderurgico di Taranto a fare una mezza giornata di lavoro. Il siderurgico di Taranto dista dal mio paese una sessantina di chilometri. All’epoca, pensavo, e lo penso tutt’ora, che mio padre fosse il depositario di alcuni dei segreti più segreti del siderurgico, come una valvola di cui solo lui conoscesse l’esatta ubicazione oppure di un particolare bullone che andasse girato in una certa maniera altrimenti sarebbe successo un putiferio, e chiamassero lui, alla domenica, da così lontano, per fare quel mestiere. All’epoca pensavo che lui fosse contento di questa indispensabilità, e lo penso tutt’ora.
Quando succedevano di queste domeniche, sapevo che mio padre, sulla strada del ritorno, si sarebbe fermato al porto a prendere il pesce. Prima di uscire dal siderurgico, mio padre chiamava mia madre e mia mia madre chiamava me e mi diceva di preparare la legna per arrostire il pesce e io allora lasciavo le cose che stavo facendo (perlopiù dare fastidio ai mie cugini e mio fratello che erano più piccoli di me). Cercavo della carta, rigorosamente stampata ché la carta di giornale contiene il petrolio e fa una bella fiamma, del cartone che facevo a listelle, sceglievo con cura i ramoscelli per fare il fondo della catasta e via via ammucchiavo pezzi di legna sempre più grandi. Poi mio padre arrivava, e mentre mia madre puliva il pesce, solitamente orate o spigole ma anche cefali che alla brace sono gustosissimi, io accendevo il fuoco e intanto si cominciava col primo, preferibilmente spaghetti con le cozze che mio padre, come ogni tarantino, sapeva aprire con manualità sorprendente e ogni tre pulite una ci spruzzava del limone e se la mangiava cruda.
Ora, ogni volta che cucino il pesce, ed è domenica, o un giorno di festa, e sono a Milano, ed è una bella giornata di sole, come oggi, è un po’ come ricordare quelle lunghe estati pugliesi in cui mio padre tornava dal lavoro e mangiavamo tutti insieme il pesce sul fuoco che avevo preparato io e allora questa cosa che mi lavo, mi sbarbo, mi vesto bene, è un tributo alla memoria di un uomo che due cose sopra ogni altra prendeva molto seriamente: il lavoro e il cibo.
Buon appetito, papà.
(foto di Jason Ippolito)