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Nello stomaco di una vedova groenlandese.

E’ da tempo ormai che faccio cose che non voglio fare. Ho questa cose delle cose che non voglio fare che veramente è così penosa da togliermi l’appetito. Io, che una cosa non la voglio fare, la capisco dall’assenza di appetito. Il mio appetito lo sento che se ne sta lì sotto, schiacciato dalle cose che non voglio fare e si muove in fondo allo stomaco, scalpita, spinge per uscire, per venire su, ché l’appetito è una cosa viva che se ne sta sotto alle cose morte che non voglio fare.

Sepolto sotto questo cumulo di cadaveri di cose che non voglio fare, il mio appetito è lontano, come fosse in un altro stomaco. Il mio appetito, quindi, non è che non ci sia, è solo altrove, come se fosse l’appetito di un altro. Ora, anche questa cosa che io ho l’appetito di un’altra persona, magari di qualcuno che abita lontano da qui e che neanche conosco, un po’ mi preoccupa. Cioè, io ho questo appetito sconosciuto dentro di me e penso sia una cosa che preoccuperebbe un po’ tutti. Metti il caso questo appetito vien fuori mentre sto parlando con un cliente o sono allo sportello delle poste. Può capitare, no? E’ pur sempre l’appetito di un altro, non il mio, e non ho certo il potere di controllare le cose non mie che mi stanno nel corpo. Stessimo parlando del mio appetito, ok, saprei come gestirlo, come placarlo, un panino al prosciutto, un pezzo di torta di mele e via. Ma no, l’appetito che mi scuote le pareti dell’addome, ora, in questo preciso istante, non è il mio, è quello di un altro, magari di un cinese.

Metti, nella peggiore delle ipotesi, che mi sia capitato l’appetito di un vecchio pakistano o quello di una vedova della Groenlandia. Cosa ne so cosa mangia un vecchio pakistano? E una vedova della Groenlandia? A mala pena so dov’è la Groenlandia, figuriamoci se so cosa mangia una vedova di quelle parti lì. Ma mettiamo pure il caso io lo sappia, che magari son fortunato e mi è capitato un appetito di un aborigeno australiano e qualche giorno fa ho letto che gli aborigeni australiani mangiano con passione la carne di dingo. Mettiamo mi sia andata così bene, che son quelle fortune che capitano quasi mai nella vita, che sono all’ufficio postale per spedire un pacco e inizia a venirmi su questo languorino che pian piano, mentre compilo i dettagli della spedizione, vien fuori sempre più insistente e cresce, cresce, cresce fino a diventare un incontrollabile ed animalesco impulso di azzannare una succulenta bistecca di dingo. Ora, sempre ammettendo che riesca ad avere la lucidità per gestire questa spiacevole situazione e, contemporaneamente, spedire il mio pacco, il solo fatto di dover pensare a dove posso trovare carne di dingo al centro di Perugia, mi mette un’ansia da uccidermi.

Secondo me, alla fine, questa cosa dell’ansia di non trovare la carne di dingo a Perugia è una cosa buona, un meccanismo naturale di sopravvivenza racchiuso nel cervello ed è proprio grazie a questo meccanismo che faccio le cose che non voglio fare e per cui ho ancora un lavoro.

(foto originale qui)

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“Il piatto nazionale groenlandese è il suaasat, carne di foca bollita con riso e cipolle. Altra specialità è il mattak, pelle di balena con un sottile strato di grasso, si mangia cruda tagliata a quadratini” (da qui) .  Direi che il dingo, in confronto, non è poi tanto male.

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