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Perdere sulla tristezza col messicano alla porta del negozio di liquori perché vincere è troppa gioia.

Mischiami la tristezza, tu che puoi. Non ti chiedo di togliermela, perché ci sto bene con la mia tristezza, confondimela solo, ti dico, perché sempre la solita tristezza mi rattrista un poco. Voglio una tristezza nuova, una di quelle con la colonna sonora di chitarra acustica e voce nasale, voglio una tristezza con gli accordi blues e l’armonica a bacca e i neri d’Alabama sparsi tutt’attorno.

Coprimi la tristezza con una tristezza più grande che non c’entra nulla, dammi una tristezza che fa a botte con la mia, per strada, urlando, così posso scommettere su chi perde col messicano alla porta del negozio di liquori. Vienimi a prendere in macchina, al pomeriggio, e portami nei posti tristi. Portami a ubriacarmi di prosecco scadente in periferia, lì dove c’era quel campo polveroso con le porte di legno traballanti su cui giocavo a palla da piccolo. Tu, però, non bere, che devi guidare. Dopo la nostalgia portami al circo, così posso rubare la tristezza all’uomo cannone mentre è in volo sul tendone o chiedere in prestito quella degli occhi della donna barbuta. Fammi raccogliere in basso il malumore dei nani e il bruciore di stomaco del mangiafuoco. I pensieri dei pagliacci no, quelli son troppo anche per me.

Portami a casa, infine, ché io a casa non ci voglio tornare, come il cantante degli Smiths, uno che era triste abbastanza. Siediti sul divano con me, manda giù un boccone e del vino e inventa tristezze nuove e belle, tragedie umane piene di insalate di riso senza maionese, gruppi hardcore con i djambè, birre calde nelle notti d’estate, caffè col sale al mattino presto e che tu e io invecchieremo insieme.

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